Dove nasce lo spreco e
come ridurlo
Frutta e ortaggi, buoni
da mangiare, lasciati marcire sugli alberi oppure raccolti e poi
scartati da trasportatori, aziende distributrici, mercati e, infine,
da noi stessi che buttiamo in pattumiera quintali di cibo ancora
edibile. Indaghiamo, con l'aiuto di alcuni esperti, le ragioni di
questo enorme spreco, cercando insieme strategie per contenerlo. Per
ragioni estetiche, perché fuori pezzatura, per costi di raccolta
superiori ai ricavi e tante altre ragioni, nel 2009 sono rimaste sul
campo poco più di 7 milioni e mezzo di tonnellate di ortofrutta,
escluse uva da vino, olive da molitura e pomodoro da industria. l
consumi nello stesso anno sono stati di 8,4 milioni di tonnellate,
quindi la quantità sprecata sui campi è stata quasi pari a quella
consumata. Ed è solo il primo anello della filiera agroalimentare.
Ma quand'è che un
alimento deve considerarsi sprecato? "Sprecati - risponde Andrea
Segrè, preside della facoltà di agraria di Bologna - sono gli
alimenti che non vengono usati per ciò che sono stati prodotti ma
che potrebbero ancora essere utilizzati a quello scopo. Sono beni
che, pur essendo ancora perfettamente recuperabili dal punto di vista
alimentare, escono dalla filiera prima del tempo e diventano rifiuti
. Questo - come racconta Il libro nero dello spreco in Italia: il
cibo a cura di Andrea Segrè e Luca Falasconi (Edizioni Ambiente
2011) - avviene, anche se in diversa misura, in tutti i segmenti
della filiera agroalimentare: nei campi, come abbiamo appena visto,
nell'industria, nella distribuzione all'ingrosso e al dettaglio, nel
consumo finale, domestico e non. l punti deboli: il campo e la tavola
Una recente indagine dell'Unione europea è arrivata alla conclusione
che il 43% dello spreco avviene a livello domestico. Ma è un dato
non esatto perché l'indagine non prendeva in esame l'intera filiera
agroalimentare ma solo industria, distribuzione e consumo finale,
lasciando fuori la produzione agricola. "Anche gli altri
segmenti della filiera - commenta Segrè - danno il loro contributo:
la distribuzione, l'industria, la ristorazione sprecano, ma meno,
perché sono più efficienti, e hanno la funzione di vendere.
Si può invece
ragionevolmente affermare che gli sprechi maggiori avvengono
all'inizio, nel campo, e soprattutto alla fine della filiera, cioè
tra le mura domestiche". Ma perché tanto spreco nelle case? "La
ragione principale risponde Segrè - è che diamo poco valore al cibo
in proporzione al reddito e questo ci porta magari a comperarne tanto
e di scarsa qualità. Bisognerebbe dargli più importanza ed essere
disposti a spendere di più per mangiare cibi di qualità, perché
questo significa salute, ambiente, reddito per gli agricoltori".
Nel biologico va meglio? "Lo spreco in campagna esiste anche nel
biologico ma con percentuali non paragonabili al convenzionale".
A dirlo è Franco Zecchinato della Cooperativa agricola El Tamiso
che, tra l'altro, a Padova gestisce una piattaforma di vendita dei
prodotti dei soci al Mercato ortofrutticolo. "Nelle aziende bio
che forniscono la grande distribuzione o la ristorazione e che
trattano grandi quantitativi - continua Zecchinato - sta penetrando
la stessa logica del convenzionale: i prodotti con difetti estetici o
di pezzatura non vengono ritirati. Chi invece opera soprattutto nelle
filiere corte - vendita diretta, Gas. mercatini - può valorizzare il
ruolo sociale del bio e riesce a vendere anche vegetali non perfetti.
Ci sono poi molte produzioni nelle quali il costo principale è la
mano d'opera. Così può succedere, anche nel biologico, che convenga
lasciare i prodotti sul campo perché il loro prezzo di mercato è
inferiore al costo della raccolta. Ai gruppi d'acquisto il premio
anti-spreco La scelta di un insieme di qualità superiori, che è
alla base del consumo di prodotti biologici mette chi la fa al riparo
dallo spreco? Dipende molto dalla forma di compravendita che si
sceglie. Paolo Rusconi è uno dei vicepresidenti di Aequos, una
Cooperativa di Gas (Gruppi d'acquisto solidale), che acquista e
distribuisce ogni settimana sei tonnellate di ortofrutta biologica a
un migliaio di famiglie nelle città a nord di Milano. "Posso
dire racconta - che quel che ordiniamo ai nostri produttori, proprio
per l'assenza di intermediari, arriva interamente nelle case. Quanto
agli sprechi domestici, tenderei a pensare che non ce ne siano,
perché la programmazione dei consumi è un elemento centrale per far
parte di un gruppo d'acquisto e questo di per sé riduce le occasioni
di spreco. Non meno importante, poi, è la relazione che si instaura
con i produttori: se hai un rapporto con loro è più difficile
buttare quello che ti mandano".
II Last minute market per
ridurre i danni ambientali, sociali ed economici dello spreco
alimentare.
Il professor Segrè,
insieme ai suoi assistenti, ha invece inventato Last minute market
(
www.lastminuiemarket.st).
"Si tratta - spiega - di un sistema con il quale si ritirano da
produttori, distributori, supermercati, prodotti che non hanno più
un valore commerciale ma che conservano integro il loro valore
alimentare e si consegnano a istituzioni che provvedono a
distribuirli a chi ne ha bisogno. Ma questo deve essere davvero un
circuito a chilometro zero, altrimenti non può funzionare".
Basta metterci un po' la testa... Molto si può fare, comunque, per
ridurre gli sprechi in casa.
Preparare una lista
della spesa dettagliata e ragionata delle cose che servono davvero.
Acquistare meno e,
se si può, più spesso che una volta la settimana.
Cucinare subito gli
alimenti deperibili tipo verdure e carne e, eventualmente,
conservarli nel congelatore.
Imparare a cucinare
gli avanzi.
Gestire le scadenze
dei prodotti con buon senso. Se la dicitura che trovate sulla
confezione è Entro il, il prodotto può essere consumato anche il
giorno dopo, ma non oltre, se invece è Preferibilmente entro il
(prodotti trasformati o conservati) si può andare avanti oltre la
scadenza indicata (per un massimo di circa il 10% della durata media
del prodotto) senza timori per la salute, semplicemente il prodotto
sarà meno ricco di sostanze nutritive.